La capitale della Cambogia, Pnom Phen, è famosa per i suoi così detti Killing Fields. Si tratta di campi di concentramento degli anni di Pol Pot e della dittatura comunista degli Khmer Rouge. In poco più di tre anni al potere questi hanno sterminato, o portato alla morte per mancanza di cibo, qualcosa come due milioni di persone. Le cifre non sono chiare, si parla di un milione e mezzo in certi casi, in altri fino a 3 milioni. Cifre che comunque ricordano la shoah per il numero di morti in relazione al tempo effettivo della dittatura.
Obbiettivo principale erano le persone istruite. Intellettuale era chiunque leggesse, o anche solo portasse gli occhiali. Si è trattato infatti di uno dei più energici tentativi di trasformazione sociale tramite sterminio che la storia ricordi. Nel tentativo di rendere la Cambogia un’enorme fattoria, uno stato esclusivamente rurale.
Pensate però di trovarvi nella Germania di oggi ed avere tassisti ad ogni angolo di strada che vi chiedono se volete andare a visitare Auschwitz, come fosse Disneyland. Sarebbe strano no? Qui invece è proprio così. Sono il luogo di interesse turistico principale, ma sono stanze di tortura e fosse comuni.
Nella mia esperienza le fosse comuni mancavano, non ero mai stato ad una di queste. Non che ci sia molto da vedere di fatto, fortunatamente aggiungerei, ma già l’essere li, il girarvi intorno, mette il gelo nelle ossa. In una città più a Nord di Pnom Phen, Battambang, famosa per il suo ormai esclusivamente turistico Bamboo Train, sono stato a visitare delle grandi grotte che erano usate come fosse comuni. Le persone venivano spinte oltre uno strapiombo di una decina di metri e lì lasciate a giacere, vive o morte che fossero. A centinaia. Mentre ero in quel luogo via via mi è sparita la voce, fino a perderla del tutto. È tornata poi circa tre ore dopo, nel viaggio di ritorno in città. Per questo ho deciso che era meglio per me evitare la visita ai Killing Fields. Le persone che erano con me non hanno avuto le sensazioni che ho avuto io, però, e si sono godute la visita normalmente. Non è quindi uguale per tutti ed, anzi, credo che per molti possa risultare estremamente interessante.
Il fatto che luoghi che hanno segnato negativamente la storia di un popolo diventino motivo di interesse turistico è naturale ed anche positivo in un certo senso. Questi eventi, come quelli legati al Nazismo, non devono mai essere dimenticati e preservarne la memoria, in ogni modo, è di importanza capitale per il futuro di ogni popolo. Non tutti poi sono al corrente di fatti che per altri sono scontati, quindi è bene che ci siano mezzi per informare, in qualunque forma questi siano.
Allo stesso tempo, però, mi rattrista quando certi luoghi, o attività, rientrano nell’itinerario turistico più comune e sono visitati in modo un po’ meccanico, come si fa con un mercato domenicale, o un parco naturale. Per quanto sia un argomento differente un altro esempio è la gita a vedere le tigri nel Nord della Thailandia. Le tigri sono tenute in cattività così che il turista di turno possa avere la sua nuova foto profilo su Facebook mentre abbraccia il più feroce dei felini, poco importa se è drogato o ammaestrato dalla nascita a questo scopo.
Se tutti i turisti che visitano Pnom Phen si recano ai campi dei concentramento, quanti di questi lo fanno con coscienza di quel che questi significano? Non lo so, e non lo saprò perché non ci sono andato. Mi piace pensare positivamente che anche chi non si è informato minimamente degli eventi legati agli Khmer Rouge, però, sia portato dal suo itinerario di viaggio a sbatterci la testa. Non tutto il male viene per nuocere almeno.
Un altro fatto è che Pnom Phen è ben più dei luoghi di una triste storia. É una città attivissima, caratterizzata da vita di strada molto varia, dal palazzo reale e dall’architettura coloniale francese. Non che quest’ultima sia di pregevole fattura, però aggiunge un che al già piacevole caos di questa capitale.
I mercati sono molto interessanti, situati in stradine strettissime coperte. Le donne siedono al centro di un grande banco, nel bel mezzo delle loro merci, rimanendo a gambe incrociate per tempi lunghissimi. Lo street food inoltre è ovunque e di tutti i tipi. Dal cibo cinese, come le zuppe di pollo o il maiale agro-dolce, ai tradizionali noodles saltati e immancabili.
L’unico problema, per così dire, sono i Tuk-Tuk, che chiedono dove stiate andando letteralmente ogni due passi. Forse conviene comprare già all’arrivo una delle magliette in vendita con scritto: NO TUK-TUK, per mettere le cose in chiaro fin da subito.