A Paloma quando aveva otto anni la morse un serpente mentre stava giocando alla foce del fiume. “Là dove si incontrano l’acqua del fiume con l’acqua del mare, conosce?”
E non un serpente qualunque, un mapaná, mortale in molti casi. Le morse la gamba alla bimba, per fortuna, per caso, chi sa. Un’amica della mamma la portò con se a Bogotà perché la curassero. A 14 anni dovette tornare alla città nuovamente, l’infezione proseguiva il suo cammino prendendosi il muscolo e minacciando l’osso. “Mi piaceva Bogotà. Mi piaceva salire a Monserrate e camminare per il paramo. Andavo sempre sola perché non avevo né famiglia né conoscenti.”
Ora a 28 anni mentre lavora canta e sorride. Ha due lavori, mattina e poi notte fino a tardi vendendo da mangiare con un carretto. “Aspetto una risposta dai medici di Medellín. Il veleno si è portato via il muscolo completamente e se arriverà all’osso dovrò tagliare la gamba. Sarebbe potuta andare anche peggio comunque quel giorno giocando al fiume. Fu niente più di una gamba.”

Moisés viene “da laggiù laggiù dove il Venezuela si incontra con la Guyana francese e il Brasile”. Un angolo di foresta tropicale inestricabile e dimenticata. Da tutti meno che dalle grandi compagnie. Pochi paesi al mondo hanno un sottosuolo ricco di minerali come Colombia e Venezuela. “Il mio lavoro era cercare filamenti d’oro sotto l’acqua, nelle miniere. Immergendomi con le bombole!” Luccica il dente frontale d’oro mentre ride e mi mostra il brevetto Open Water.
Non hanno diritto a tenere l’oro, ufficialmente. Però un dovere di fronte all’intelligenza di trafugarne almeno un po’. Peccato non lo possano portare da nessuna parte, il possesso è punito in modo durissimo, cosi che lo vendono a meno della metà di quello che vale. “Come vendere un banano in una piantagione di banane!”

Li chiamano Moni e Mono, più di 10 anni fa già s’innamorarono. Lei di Bogotà lui belga. Alcuni anni di lavoro in barca fra Europa e Caraibi. Abbastanza per diventare proprietari di 200 ettari al bordo del Rio Buritaca. Un magnifico fiume limpido che sgorga dalla Sierra Nevada di Santa Marta, nella regione che lambisce il Caribe chiamata Magdalena.
Passato qualche anno la coppia entra a far parte della vita della Sierra. Sono benvoluti e diventano esperti conoscitori dei costumi dei nativi. Moni esprime il desiderio di adottare un bambino Kogui. Già madre di una figlia misto colombiano-belga un giorno arriva a casa sua Gabriel. Il nome, chi sa se casualmente, a me ha sempre fatto pensare all’arcangelo e alla maternità senza amplesso. Ha cinque anni e un grande sorriso bordato da capelli lunghi e lucenti. In quasi due anni con la nuova famiglia ha imparato spagnolo e olandese, la lingua del padre. È un bambino felice che mi piace pensare un giorno potrà essere un ponte fra culture. Di sangue Kogui e educazione mista.

Sono al negozio più vicino a casa che vende un poco di tutto. Cioè molto poco, perché sfortunatamente la moneta colombiana non può permettersi grandi prodotti internazionali. Nemmeno ci si può lamentare troppo dato che qui almeno vendono prodotti venezuelani di contrabbando. Come la famosa birra Polar per esempio.
Comunque, mentre penso a che comprare sento chiamare Lorenzo. Varie volte. Lorenzo è il mio nome. Butto un occhio e non vedo nessuno e nemmeno stanno chiamando me. Infine vado a pagare il conto e vedo che la ragazza alla cassa ha fra le mani una Guacamaya, sarebbe a dire un pappagallo. Mi insospettisco. Chiedo come si chiami il pappagallo. “Si chiama Lorenzo!”
“Mm, anche io.”
“Davvero? Solo i pappagalli qui si chiamano Lorenzo!”
Così ho scoperto che in Colombia ho nome da pappagallo.

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