Forse non sapevate che fare la guida nella jungla è considerato il miglior lavoro del mondo. A Bukit Lawang, la porta d’accesso alla foresta degli Orang Utan, è invece un pensiero diffuso.

Cosa c’è di meglio che spendere le proprie giornate immersi nella natura più fitta e inaccessibile che potete immaginare, fra alberi, foglie, liane, cascate, tutto in dimensioni extra-large? In realtà a sentire chi la guida la fa veramente tutto questo non è altro che l’inizio. Ciò che interessa davvero sono le donne occidentali che a loro volta non disdegnano questi uomini della jungla, dai capelli lunghi, il fisico asciutto e la pelle scura. Come dice Joseph, una delle guide più rumorose della zona: “Siamo Moogli in carne ed ossa, e ci adorano”.

Joseph è guida ormai da più di quindici anni e pensa che il suo lavoro sia “come una vacanza. Il miglior lavoro del mondo.”

E la ragione principale per Joseph è questa: “Ho avuto donne da tutto il mondo. Nomina un paese e io ce l’ho (non manca l’Italia). Vengono qui e si innamorano dei Tarzan della jungla!” E se la ride continuamente mentre ci svela di questa sorta di mercato del sesso di cui non avevamo alcuna idea ed in cui i ruoli si ribaltano.

Chiedo come si faccia a diventare guida allora e Joseph mi spiega: “Si comincia dalla base. Prima si passano mesi nella foresta. Si impara a riconoscere le piante e a costruire ciò di cui si ha bisogno usando il materiale disponibile. Il bambù e le foglie di banano diventano una casa per esempio. Si impara a sopravvivere facendo affidamento solo su quello che la foresta mette a disposizione. Sapere cosa va bene mangiare e cosa no è semplice, basta osservare gli animali, gli Orango in particolare. Quello che loro mangiano anche noi possiamo mangiarlo”.

Prima di accompagnare i turisti si fanno le ossa andando ad organizzare i campi dove questi passeranno la notte. Si abituano a portare grandi pesi su percorsi molto complessi, anche guadando forti fiumi. Questo è importante perché nel caso un turista si senta male la guida deve trasportarlo. Joseph mi racconta che è capace di trasportare tra gli 80 e i 90 chili e che gli è capitato di dover prendere sulle spalle una ragazza che non era più in grado di continuare sulle proprie gambe.

Il tipo di esperienza che si vuole avere della jungla è relativo. Più di quanto mi sarei immaginato. E quasi ogni desiderio può essere esaudito: “Si può stare un giorno, due giorni, ma anche sette giorni, arrivando fino a Banda Aceh, la punta Nord di Sumatra, passando anche una notte in una piantagione di marijuana lungo la strada!”

Molti occidentali vengono in viaggio di nozze “perché vogliono stare nudi nella jungla!” Racconta Joseph, ridendo di gusto. “Noi li portiamo alle cascate, dove vogliono essere lasciati soli, e controlliamo che la zona sia sicura, senza animali in arrivo. Poi magari diamo una sbirciatina!”

Il trekking che ho fatto io consisteva in due giorni e una notte nella jungla. Il primo giorno è speso camminando, specialmente alla ricerca degli Orang Utan, che sono unici di queste foreste e di quelle del Borneo. Con un passaggio anche attraverso una piantagione di alberi della gomma. La gomma, infatti, come anche la palma da cui si estrae l’olio, è una coltivazione adatta al clima iper-umido della foresta pluviale ed è la ragione di ettari ed ettari di disboscamento devastante per la fauna locale. L’arrivo al campo base avviene poco prima del tramonto e siamo premiati con un bagno nelle fresche acque di un fiume che scorre poco lontano.

Tutti i pasti sono gestiti dalle guide e dal cambusiere del campo. Riso e noodles, neanche a dirlo, mi accompagnano per i due giorni. Offrono anche marijuana, che è fumata tramite pipe fatte con passion-fruit.

Il giorno seguente si risale il fiume, con il solo costume addosso, fino a delle cascate e delle pozze immerse nel verde più verde. L’esperienza di camminare nella jungla a piedi scalzi è eccezionale e vale il prezzo del trekking dal mio punto di vista. Per altri può essere una faccenda piuttosto viscida. Qui ho avuto la prima sanguisuga della mia vita e anche questo è un evento a cui non tutti reagirebbero con eguale entusiasmo, ma posso dirvi che non è niente di tremendo.

Dopo il pranzo il ritorno al villaggio è con un rafting sul fiume. La portata del fiume dipende dalla stagione, per noi è stato divertente, ma mai davvero preoccupante. Spesso più una navigazione che una vera e propria lotta contro le rapide. La vista è meravigliosa comunque e non mancheranno scimmie sorprese di vedervi lungo le rive. L’imbarcazione è creata unendo grandi copertoni insieme, formando una sorta di gommone.

Il prezzo del trekking è intorno ai 60 euro, ma Joseph assicura che: “Se portate ragazze bianche facciamo lo sconto!”

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