Due forze contrapposte per il controllo di una regione. Un potere bianco, tanto leggero quanto indomabile: il potere della montagna e della foresta. L’energia della natura tutt’uno con le ancestrali tradizioni dei popoli della Sierra Nevada. Pratiche sostenibili, capaci di proseguire in eterno armonicamente agli elementi. Dall’altro lato un potere oscuro, sotterraneo. Di chi raccoglie la materia che nutre i fuochi della elettricità e dei motori. Un potere fatto di infinite tubature, grandi navi, inquinamento e molto denaro. Un potere che consuma, che solo toglie. senza preoccuparsi del domani.

Mi piace cominciare cosi, osservando la regione come fosse un mondo immaginario da racconto fantasy: una lotta tra il bene e il male. Vorrei infatti provare a descrivere la regione del Caribe colombiano tra la frontiera col Venezuela e il Rio Magdalena – tra Santa Marta e La Guajira – cercando di andare oltre la mera esaltazione delle località di interesse turistico. Osservando le contraddizioni sociali e in generale le forze all’opera in questa regione tanto bella e affascinante, quanto lacerata, povera e sfruttata.

Cominciamo con il bene. I nativi di questa parte del mondo che hanno abitato la regioni da tempi immemorabili: si chiamano Kogui, Aruakos, Wiwas e altri. Scendono la montagna con le loro borse a righe colorate a tracolla. Le loro vesti bianche bordate con le trame simbolo della famiglia, a volte immacolate altre meno. Al lato i bambini con i capelli lunghi e arruffati, le facce spaurite, i piedi scalzi. Attenti a ogni dettaglio, nei loro lineamenti e forme altre, di antichi asiatici mutati dalla cordigliera andina, o chi sa quale altro mix frutto del nomadismo e dei millenni. Occhi a mandorla scuri e attenti, nasi larghi e bocche carnose su menti affilati. Con gli animali carichi di banane arrivano come da un’altra dimensione possibile, o da un passato pensato tale.
Non sono santi ovviamente, non esiste il buon selvaggio perché niente è solo bianco o solo nero. Però così è il fantasy, semplifica e generalizza delle figure per poter esporre un più ampio argomento. Questi popoli abitano la regione da millenni, si crede da 4’000 anni, senza certezza però. Sono discendenti diretti dei Tayrona e hanno sopravvissuto intatti alla colonizzazione abitando le terre della Sierra Nevada di Santa Marta. È il loro regno, duro e bellissimo allo stesso tempo. Abbastanza duro da aver fatto si che la civiltà moderna non ne abbia toccato più che le pendici. Non hanno né elettricità né acqua corrente e si affidano ai muli per il trasporto. Vivono in villaggi puliti e ordinati, con case circolari in pietra, fango pressato e tetto di palma a punta. I sentieri segnati ordinatamente, con muli e cavalli fuori la porta ad aspettare. Da poco lontano sempre è presente il rumore morbido dei fiumi che sgorgano dalle immense vette innevate che dominano la Sierra. Questa è infatti la catena montuosa più alta più vicino al mare del mondo. Il picco Cristobal Colón osserva il mar dei Caraibi, a soli 40 chilometri, dall’alto dei suoi 5700 metri.
Tra loro i popoli della Sierra differiscono appena. Dettagli dei loro copricapo, delle loro vesti e arti. Tutti tessono borse, ognuno con le sue variazioni di stile: alcuni di fibra di agave, altri di lana di pecora. Gli uomini hanno sempre fra le mani il poporo, un contenitore ricavato dalla buccia di un frutto dura come il legno dove tengono una mescola di foglie di coca e calce. Si vestono di bianco, completamente, e portano i capelli scuri lunghi fin oltre le spalle. Sono piccoli, appena 1,50m gli uomini mediamente e ancor meno le donne. Le loro principali colture sono quelle che caratterizzavano il Sud America prima dell’arrivo degli europei: yucca, banane, patate, mais, cacao e poco più. Con queste producono tutto, anche farine e bevande alcoliche. Inoltre hanno una meravigliosa cosmogonia secondo la quale noi siamo i loro fratelli minori bisognosi di guida.
Come detto non è tutto oro quel che luccica, cosi che non sono da sottovalutare alcuni dettagli opinabili di questa società. Il patriarcato è molto forte, è normale veder passare le donne caricando prole e merci mentre gli uomini si ubriacano o scelgono il mangiare migliore. L’usanza di masticare le foglie di coca miste a calce (ricavata bruciando conchiglie su canna da zucchero) è riservata agli uomini e porta questi a perdere con gli anni tutti i loro denti. Però quel che mi interessa al momento è evidenziare come questi popoli siano per noi un portale verso un altro tempo. Un canale di osservazione privilegiato per capire chi siamo noi tutti esseri umani: noi stessi proveniamo da questi usi e tempi. I nostri stessi avi hanno vissuto con pratiche simili per millenni, queste ci appartengono più di qualunque rivoluzione industriale o digitale, almeno in termini evolutivi. Che ancora oggi si possa osservare una società del tutto scissa dalla tecnologia e dal mercato globale è una grande fortuna e una fonte di insegnamento di immenso valore.

Facciamo un passo indietro adesso e osserviamo la regione dall’alto. La città di Santa Marta si inserisce giusto dove la Sierra Nevada arriva fino a toccare il mare. Poco oltre verso nord-est segue il parco naturale Tayrona: una meraviglia naturale dedicata al turismo. Salendo ancora verso nord il Rio Palomino segna il cambio di giurisdizione tra Magdalena e La Guajira. Quest’ultima è una regione desertica, la Sierra Nevada lascia spazio infatti a piane aride e grandi saline. Dall’altro lato della Sierra Nevada sta invece Valledupar, città chiave della tradizione colombiana specialmente per la musica popolare chiamata Vallenato e per il suo festival caratteristico, una settimana di folli battaglie musicali ogni anno da decenni.
Peccato che se si arriva ad affacciarsi al mare si incontrino enormi navi capaci di trasportare tonnellate di carica. Che ci fanno in un’area tanto povera? La gente appena può accedere a moto di piccola cilindrata, però, il mare di fronte a loro è solcato da navi gigantesche. La risposta si trova a nord-est di Valledupar, nel cuore de La Guajira, e si chiama Serrejon. È fra le prime dieci miniere a cielo aperto più grandi del mondo. Una piana infinita, grande come una città, dove si scoperchia la terra nuova per portarsi via la vecchia: il carbone, o meglio bitume. Per rivelare il prezioso materiale lo strumento è la dinamite che rasa la testa della terra con inaudita violenza. Intervengono poi degli appositi camion i cui pneumatici superano i tre metri di altezza, mostri di potenza. Caricano e lo mettono all’unico treno del paese in direzione del mare. Fino a un grande porto sulla punta de La Guajira, fra Colombia e Venezuela, dove è caricato sulle grandi navi o messo su strada. Il carbone poi lo si ritrova ovunque: nel pieno centro di Santa Marta, nel mero porto turistico, a Barranquilla nel Rio Magdalena, così come su tutta la costa per nord e sud. La proprietà della miniera è totalmente straniera, niente rimane nel paese in termini di ricchezza. E quello che resta se lo rubano i soliti pochi, dice la gente. Certo, rimane indubbiamente un indotto che però è semplicemente ridicolo al confronto dei ricavi della miniera. Insieme ai danni ecologici incalcolabili.

Playa Rodadero a Santa Marta era considerata una delle più belle spiagge del paese. Oggi palazzi di venti piani toccano la sabbia e fanno ombra ai bagnanti. Hanno la SPA e la infinity pool, però niente fognature o strade asfaltate. Il turismo del paese è ancora immaturo e si accontenta di poco. C’è però grande entusiasmo nella gente per la nuova libertà di muoversi ottenuta dopo gli anni di guerra civile. Sempre più zone che erano da decenni irraggiungibili perché controllate da para-militari sono visitate e fotografate. Spesso sono luoghi fantastici, fenomeni naturali unici. L’ispirazione a muoversi per il paese è contagiosa. I milioni di abitanti delle principali città, così come molti stranieri, si riversano sulle poche località turistiche attrezzate. Sono giustamente curiosi di visitare il proprio paese. Così come di spendere i propri risparmi riposandosi su una spiaggia e scappando dal grigio di Bogotà. Immettono cosi un nuovo elemento in questo calderone di forze sociali ed economiche: il turismo. Questo potrà partecipare ad affossare ancora di più la regione, oppure aiutarla a trovare un’identità. Potrà coprirla di cemento con facili costruzioni da vendere ai vacanzieri, oppure guidare chi viene ad apprezzare le qualità dell’area preservando la natura stessa negli anni. Come potrà aiutare la coesione sociale che è tanto difficile in Colombia e nel continente: tra le etnie afro della costa, i nativi e gli abitanti delle città. Oppure inasprirla ancora di più, per esempio costruendo hotel di lusso al lato di quartieri invasioni (favelas).
Ovviamente il turismo farà tutto questo: bene e male allo stesso tempo. Tristemente, sembra essere nel destino di questo continente l’essere sfruttato e saccheggiato. Così come in quello della sua gente di lottare e dividersi fra loro stessi, ineducati e confusi fra identità rubate o ancora in via di farsi. Che siano spiagge bianche, miniere d’oro o di smeraldi, c’è sempre qualche lupo pronto ad approfittare. I ricchi stranieri ormai arrivano sotto forma di multinazionali però somigliano molto ai coloni di sempre. Egualmente di luoghi cosi è pieno il mondo. Queste battaglie locali, tanto invisibili e sconosciute ai più quanto epiche e fondamentali, danno forma al destino del mondo di tutti. Alcune di queste battaglie, come questa dei nativi della Sierra Nevada di Santa Marta, sono senza appello, senza possibilità di tornare indietro e pentirsi. Non resta che sperare che per una volta, come nei film, vinca il bene.

2 Comments on “Il Caribe Colombiano – Tra Sierra Nevada e Serrejon

Rispondi a Elisabetta Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *