L’autista del bus che mi porta verso il nord di Sumatra mi fa pensare ai tigrotti di Sandokan, ha il volto che mi sarei immaginato in un malese taglia-gole che non ride mai e non teme niente. Sembra un rettile, magrissimo, lo sguardo vitreo, la bocca tesa in un ghigno. Lo osservo mentre guida e sembra vada all’arrembaggio come un folle, armato di clacson, e lo disprezzo perché guidando fuma una sigaretta dopo l’altra, senza che vi sia un solo finestrino aperto in tutto il bus.

Guardando lui e il panorama circostante mi viene da pensare a certe cose sentite dire prima di partire. Ad articoli letti sull’economia indonesiana, della sua netta crescita che la pone subito alle spalle dei grandi paesi emergenti come Cina, India e gli altri del gruppo. E quel che penso è che se volete vedere con i vostri occhi che il PIL e la crescita vogliono dire ben poco, l’Indonesia può essere un buon posto dove farlo.

La crescita al 6% potrà essere significativa per la banca centrale o per qualche grande azienda giavanese, ma per la maggioranza del paese significa niente o quasi niente. Forse un giorno questo treno economico si porterà dietro la quotidianità della gente, migliorando il loro accesso all’educazione, dotandoli di un ente sanitario su cui fare affidamento e della possibilità di spostarsi da una città all’altra senza rischiare la vita ad ogni curva. Per ora, però, per i più, quel sei percento vale quanto uno zero.

Quel che prima di ogni altra cosa salta agli occhi visitando il paese è la totale ignoranza verso ciò che è nocivo al corpo umano. Un numero impressionante di indonesiani, per esempio, è fumatore a catena. Tutti compresi, senza eccezioni, donne, uomini e a volte bambini. Fumano ovunque ed ininterrottamente. Le sigarette non costano niente: solo un euro e poco più un pacchetto di Marlboro. Ancora meno le sigarette tradizionali, aromatizzate con spezie come il fiore di garofano: 50/70 centesimi di euro al pacchetto circa. Pochi anche per qui, dove i guadagni sono minimi. Le chiamano Kretek, onomatopeico per l’effetto sonoro prodotto dal bruciare delle spezie. Non è provato in nessun modo che siano più dannose delle sigarette normali e forse non lo sono, ma la mistura con le spezie ne abbatte il prezzo, rendendole accessibili a chiunque e in grande quantità. Già questo le rende un poco peggiori. Basti a dire che il suo inventore sperava che curassero i suoi malanni, permettendogli di continuare a fumare e morì poi di cancro ai polmoni.

Ancora anche in Europa non si è svoltato l’angolo di questo vizio evitabile, ma almeno se ne inizia a comprendere in modo diffuso l’essenza problematica. Quel che era un vezzo per l’animo ignaro e noncurante, viene sempre più alla luce come una dipendenza grave.

Fa impressione quindi vedere come in Indonesia manchi ancora completamente la cultura stessa legata al rischio corso. Del male che il fumo continuato può causare per se, come per i propri figli. È inutile, infatti, indignarsi di fronte ad un bambino di una decina d’anni che fuma, se tanto è certo che pochi anni dopo comincerà comunque. O è nato da un padre e una madre fumatori a catena.

La totale incoscienza del problema negli altri rende invece questo a noi ultra evidente. L’assenza del dubbio altrui rileva il nostro di dubbio.

Simile questione quella rappresentata dallo smaltimento dei rifiuti. Falò di ogni tipo di sostanza, con plastica a farne da regina, bruciano ad ogni angolo di strada, e non è un modo di dire, nelle città come nei villaggi di campagna.

In certe aree cittadine gas altamente tossici sono respirati incessantemente, da tutti e a cuor leggero. Senza inquietudine alcuna. Nella maggior parte dei villaggi l’unico modo di disfarsi dei rifiuti è bruciandoli. Vi sono luoghi appositi, designati, oppure ognuno lo fa per se, nei giardini di casa, ed è magari una mansione semplice, assegnata ai ragazzi.

Se non vi è coscienza dei danni che i rifiuti così trattati possono portare a noi stessi, come si può credere che passi il messaggio che questi sono altrettanto dannosi per l’ambiente? Cosa significa quell’innalzamento del PIL se non vi è una minima istruzione riguardo i rifiuti, o almeno il mero investimento in un sistema di gestione di questi?

Specialmente sulla più sviluppata isola di Java, che raggiunge i 150 milioni di abitanti, ma non solo, le zone abitate sono sinonimo di grande produzione di rifiuti e di un sistema anarchico di gestione di questi. In una nazione che ancora in grandissima maggioranza si affida alla sola agricoltura. Cosa succederà allora tra dieci o venti anni quando quel tasso di crescita avrà davvero dato i suoi frutti dal punto di vista della produzione industriale?

Dei tanti rifiuti le bottiglie di plastica sono le uniche a ricevere costante attenzione umana, perché i vuoti sono poi pagati al peso. Le attenzioni animali invece sono rivolte verso i rifiuti organici, di cui si occupano i ratti, con le scimmie a dare una mano nelle zone più isolate. Queste sono ormai avvezze all’uomo, quasi per niente intimorite aggrediscono se credono ci sia qualcosa da guadagnarci. In ogni modo, al di là dello zaino del turista di passaggio, hanno inserito il saccheggio di ogni tipo di bidone e cassonetto a far parte della loro alimentazione. Scimmie che bevono CocaCola e birra, mangiano cioccolata e patatine, sono una scena comunissima.

Nel frattempo gli indonesiani osservano e poco altro. Coi loro ritmi immutabili. Con quel loro oziare e vivere lento, da popolo equatoriale. E fumano. Fumano sempre.

Fumano anche mentre guidano tra le nuvole di smog di motorini e macchine che intasano le strade senza che alcuna normativa le selezioni. Coi motori sempre accesi perché tanto il costo della benzina è irrisorio (40 centesimi al litro). L’unica altra attività che li rapisca tanto quanto il fumo è quella di lucidare il proprio scooter in ogni sua parte, ruote comprese. Mentre poi gettano ogni cosa per terra. Tanto il problema di preservare l’ambiente non esiste. Qui nessuno ne ha sentito parlare.

Inquinando l’ambiente poi rendono tossico il cibo stesso che andranno a mangiare. Il pollo, onnipresente nei piatti tradizionali, è tanto scarno che pare malato. Tanto scioccante alla sola vista da rendere vegetariano anche chi non vi aveva mai effettivamente pensato come il sottoscritto. Simile discorso a volte anche per il pesce, in un paese tristemente noto per la pesca con la dinamite. Bombardare barriere coralline stracolme di pesci è certo un metodo diretto ed efficace, anche se magari non eccezionale nei suoi effetti a lungo termine. Ma questo modo di pensare, comprendente il futuro, è un’altra delle cose che evidentemente non esiste ancora da queste parti.

La morale è che il PIL significa ben poco. E la crescita vista da qui sembra una corsa al peggio, alla fine, più che la speranza di una vita migliore. Così che i paradisi naturali e le culture originarie, le palme e le danze rituali che sogniamo dalle nostre case di cemento, magari esisteranno ancora per un po’, ma per raggiungerle dovremo attraversare nubi di plastica bruciata sempre più grandi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *