L’Himalaya è probabilmente il luogo dove ogni amante di paesaggi e camminante vorrebbe recarsi, ed è l’Everest la principale ragione della sua fama. Essere la montagna più alta del mondo è già di per se una leggenda, un primato che non può non affascinare. Se poi ci si aggiunge che recarsi sulla sua cima è cosa per pochi eletti, che la sua leggenda rende eroi coloro che vi partecipano, ecco che abbiamo trovato un luogo su cui non possono mancare storie.

In molti casi sono storie di conquiste ed uomini eccezionali. Storie di compagni di viaggio che insieme sconfiggono questi mostri inospitali alti oltre gli 8000 metri. Altre volte sono storie di tragedie, di morti silenziose, di sacrifici e scelte morali che segnano per il resto della vita. Storie di uomini che non hanno compreso dove fosse il loro limite, oppure di uomini sfortunati che il caso ha messo sul sentiero sbagliato nel momento sbagliato. Tutte però sono storie affascinanti, istruttive e coinvolgenti, che tengono il lettore incollato pagina dopo pagina e ispirano a recarsi in prima persona a vedere questi giganti terribili e sublimi.

Dopo 62 anni dalla prima ascesa a 8’848 metri, il 29 Maggio 1953, da parte del neozelandese Edmund Hillary e del nepalese Tenzing Norgay, raccogliamo qui tre libri (e vari link utili) che narrano alcune delle storie degli uomini che hanno sfidato il picco del mondo.

Sheer Will, Michael Groom

900 metri di dislivello in volo a bordo di una valanga tra i sei e sette mila metri. Cadute in crepacci senza fondo avendo la fortuna di uscirne intatti. Scelte di vita o di morte tra la propria e quella altrui, nel dubbio tra salvarsi, salvare qualcuno, salvare tutti, o morire. Sono solo alcune delle battaglie contro il gelo e l’altitudine di Micheal Groom, che la lettura della sua autobiografia vi porterà, almeno un po’, a compiere voi stessi.

Sheer Will, che tradotto letteralmente in italiano sarebbe Pura Volontà, è un diario che si legge come un thriller. E non lo dico per dire. Sarà dura lasciare una scalata a metà e passare ad altro senza sapere se ce la farà a raggiungere la cima, a costo di quale parte del corpo o di quale compagno di viaggio. Difficilmente ci si stacca da questi racconti di follia alpinista, tanto istruttivi sulle sue tecniche quanto sull’animo umano e la sua sete di potenza e affermazione.

Il libro parte dall’infanzia di Michael in Nuova Zelanda, con la passione per la montagna e le scalate trasmessa dal padre, seguendo poi le varie tappe verso la formazione di un grande alpinista. Le esperienze tra terra natale ed Alaska, dove il padre si trasferisce, casa di orsi e nevi perenni, fino al salto in Asia, tra Nepal e Cina, affacciandosi sul Tibet, alla conquista delle 5 vette più alte del mondo.

Leggendo seguiamo le conquiste e le sconfitte di un uomo che tende, forse e probabilmente, al fanatismo, ma che davvero non perde mai la volontà di perseguire il suo sogno e la sua missione. Neanche la perdita di tutte le dita dei piedi e di parte della mobilità di quelle delle mani, dovuta al freddo glaciale, lo convincono ad abbandonare. Come la scomparsa di amici e compagni di viaggio non fanno che renderlo soltanto più ostinato.

Col passare del tempo per lui e dei capitoli per noi si impara sempre più esattamente in cosa consista una spedizione sull’Himalaya, tanto quanto si entra in confidenza con gli strumenti e le nozioni di base necessarie all’impresa. Fino all’ultimo capitolo, dove si viene istruiti dall’interno anche su cosa sia stata la giornata più disastrosa nella storia dell’Everest, il 10 Maggio 1996, con molte persone ferite e decedute.

Into thin Air, di Jon Krakauer

Jon Krakauer è l’autore del libro biografico Into the Wild, la cui versione cinematografica ha affascinato milioni di spettatori e dato un volto al sogno di abbandonare la civiltà per perdersi nella natura in solitaria. In questo testo, invece, Krakauer diviene suo malgrado il protagonista della sua stessa storia.

Egli è infatti tra i più di trenta alpinisti che si trovano a tentare l’ascesa alla cima dell’Everest il 10 maggio del 1996. Se l’ultimo capitolo del libro di Groom, che è guida nella spedizione neozelandese di cui Krakauer fa parte, vi ha tanto agghiacciato quanto incuriosito su gli eventi di quei giorni, questo è il libro cui dovete guardare.

La scrittura chiara e concisa di un giornalista e scalatore al contempo conduce passo dopo passo a rivivere lo scorrere delle ore e dei giorni che hanno segnato il giorno più tragico della storia dell’alpinismo. Dodici uomini e donne trovano la loro fine tra la notte a cavallo tra il 10 e l’11 maggio 1996. Il libro è il tentativo di ricomporre il puzzle degli eventi che hanno portato a questa conclusione. Eventi in cui la memoria di nessuno è affidabile, nemmeno la stessa di Krakauer che si rivelerà fallace più volte a causa dell’influsso mortifero dell’altitudine sulla mente umana.

La coscienza che l’avvento della tragedia è dietro l’angolo stende un velo di profonda tristezza su tutto il libro. Non è un libro allegro, insomma. Il punto di vista di Krakauer, però, a differenza anche di quello di Groom che è alpinista di professione praticamente, è quello di un uomo normale che ci racconta con sorpresa pari a quella del comune lettore quale follia sia scalare l’Everest. Seppure egli è stato alpinista fin dall’infanzia, come Groom appassionato fino al fanatismo, non ha mai scalato montagne di oltre 8’000 metri. Ha alle sue spalle scalate ritenute fra le più ardite e pericolose, ma fin da quando si trova al Campo-Base alle pendici dell’Everest, a 5.364m, già è alla massima altitudine cui si mai stato fino ad allora. Questo non gli impedirà di essere tra i più abili in quei giorni. Anche se la sopravvivenza non si rivelerà il frutto dell’abilità o della forza fisica, ma della vittoria della misura sulla hubris.

Proprio il confine tra morte e sopravvivenza diviene, col susseguirsi dei capitoli, il tema centrale del libro. Trovare le ragioni di ciò che è accaduto, assegnando responsabilità e a volte colpe, è forse il modo più naturale per uno scrittore di superare il trauma vissuto. Questo porterà non poche critiche a Krakauer, però, sommando le offese ai già abbondanti rimorsi. Anche perché la ricostruzione degli eventi in questo caso restarà come il testamento umano e professionale di alcuni degli uomini periti. Di due in particolare, Rob Hall e Scott Fischer, i più blasonati organizzatori di scalate commerciali del tempo. Loro era la responsabilità sugli altri uomini, tutti compresi: clienti paganti, sherpa ed anche guide. Il libro è quindi implicitamente un giudizio sulle loro azioni e in parallelo sull’esistenza stessa di spedizioni commerciali di questa portata. Quel che è certo è che in queste pagine si trova un pezzo di storia umana, tanto assurdo quanto, e per questo, imperdibile.

The Chomolungma Diaries: What a Commercial Everest Expedition is Really Like, di Mark Horrell

Questo libro è più breve dei precedenti ed un sospiro di sollievo rispetto agli altri due. Non più disastri, tragedie, o scelte fra vita e morte, solo un sano diario di viaggio. Comunque, per quanto il ritmo di questo diario sia pacato e piacevole, il giorno della salita in vetta, come nei libri precedenti, ci porta ad aumentare il ritmo di lettura e a non smettere di leggere fino alla fine.

Mark Horrell è un blogger esperto di montagna e, nella vita reale, lavora come SEO (Search Engine Optimization). Oltre che partecipare al lavoro di alcune Charity in Nepal. Fa inoltre video e fotografie che si trovano nel libro. In questo testo si ha quindi il punto di vista di chi ha in mente fin dall’inizio il racconto della spedizione e con mezzi diversi oltre la scrittura. Ancora meglio se si affianca la lettura del diario a quella del blog, dove si trovano molte più foto e video. Rispetto a Krakuer, anch’egli giornalista, qui ci si concentra esclusivamente sui dettagli della scalata, le sensazioni provate e i vari passaggi che il territorio porta ad affrontare. Nel diario di Mark Horrell si lascia in pace le tragedie e si evita la suspance come mezzo narrativo, così che i dettagli della scalata stessa sono compresi in modo più realistico dal lettore e le immagini entrano in mente in modo vivido. Non che Mark non sia assolutamente terrorizzato, però non è questo quello che vuole raccontare. Le emozioni ci sono, ma vengono dopo le informazioni tecniche, la spiegazione dei tempi di salita, delle rotte. E ci si trova anche un po’ di ironia che certo manca nel libro di Krakauer (che rimane però il mio preferito).

Inoltre si ha un punto di vista geografico differente. Se nei libri precedenti si impara a conoscere la salita dalla cresta Sud-Est (South-East Ridge), qui si affronta la salita dalla cresta Nord (North Ridge). A questa si accede dal Tibet, per poi raggiungere la vetta superando i così detti Three Steps. La salita da questo versante è considerata più tecnica e maggiormente esposta ai venti rispetto a quella dal lato nepalese, che è la più comune via di accesso al monte. Inoltre il così detto Campo 3 è il campo base più alto al mondo, situandosi tra gli 8’200 e gli 8’350 metri.

Il diario racconta una storia avvenuta nel 2012, inoltre, quindi ancora fresca e non dal sapore meramente storico. Il libro è in versione digitale ed ha un prezzo più abbordabile degli altri due, ma un numero di pagine minore.

Un ultimo consiglio riguarda un libro in italiano, visto che al momento dei precedenti solo Into Thin Air è stato tradotto. Reinhold Messner, il tirolese ritenuto in tutto il mondo il più grande alpinista di tutti i tempi, ha scritto un libro sul tema Everest: La Seconda Morte di Mallory. Il libro cerca di rispondere alle domande rimaste insolute sulla fine di George Mallory e Andrew Irvine, coloro che forse per primi hanno raggiunto la vetta, nel 1924, senza però tornare indietro. La storia di questa ricerca è inframmezzata con aneddoti dal passato dei grandi dell’alpinismo.

Consiglio anche del materiale video. Negli stessi giorni delle spedizioni di Hall e Fischer anche una squadra sponsorizzata IMAX si trovava sulla montagna. Questa era guidata da David Breashears, un’alpinista di fama mondiale, primo americano a raggiungere la vetta più di una volta e a trasmettere immagini live da là su. Il film mostra le difficoltà e la bellezza dell’impresa ed è perfetto per aggiungere immagini reali ai racconti trovati nei libri.

La voce narrante è di Liam Niason, mentre parte del cast sono Beck Weathers, drammatico protagonista nelle storie del team di Hall, Groom e Krakauer, e Jamling Tensing Norgay, figlio di quel Tensing che per primo raggiunse la vetta.

 Le tesi di Krakauer in Into Thin Air sono state messe in dubbio nel libro The Climb, di G. Weston DeWalt e Anatoli Boukreev, quest’ultimo una delle guide coinvolte nel Maggio del 1996. Boukreev è una figura controversa quanto eroica della storia dell’alpinismo himalayano.

Infine:

Epistolario tra Boukreew, Krakauer e Lopsang in file .doc

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *